Chiacchiera
22 Aprile - 4.487 visualizzazioni
Lo pubblico adesso che so che nessuno lo leggerà ... 

Voi contemplate il mondo, Elli vi scrutano.
Oh, come m'inebria il pensier che il nostro mondo, vilmente ancorato a giorni di tedio e gesti consunti, sia nulla più che un'ombra fugace d'un regno arcano, celato agli occhi mortali! Un dominio remoto, tra gli interstizi del cosmo, ove dimorano i fantasmi dei pensieri non detti, le chimere partorite dal vorticoso danzar della nostra mente. Ivi, creature d'eterea sostanza, non generate dall'umano amplesso, ma dall'ardente scontro di sogni, vagano in silente maestà.
S'ode il preludio della scena. In una sera d'estate, sotto un firmamento che par sospeso in un mistico silenzio, una schiatta familiare si raduna nel cenacolo domestico. La machina televisiva, novello oracolo d'immagini e suoni, li avvince in un rituale di placida inerzia. Ma fuori, oltre i confini della dimora, le potenze dell'Immaginazione e della Fantasia, come celesti ministri, si congregano in un concilio segreto. E quivi, da tal congresso, una Vita novella germoglia, non forgiata da numeri aridi, ma da sospiri di “sì” che il vento notturno rapisce. I suoi occhi, non cresciuti su volto alcuno, son specchi d'eternità, che han già contemplato ogni sembiante del mondo, ogni sua maschera.
Qual novella Creatura, simile al mostro di Frankenstein, ma d'una beltà più astratta, spia i suoi ignari genitor. Scruta gli umani, suoi inconsci artefici, con pupille che trapassano il velo dell'effimero. Invisibile, ella tutto discerne: i gesti convulsi, i sorrisi che celano affanni, i sogni che, prigionieri, si torcono nel petto. Sol il fel domestico, accovacciato su un seggio, osa ricambiarne lo sguardo. È egli forse un'emanazione del sogno primigenio d'un Faraone, antico come le sabbie d'Egitto, i cui occhi scintillano di misteri che il tempo non osa narrare.
Non la sfiora il gelo, né la morde il dardo della solitudine. Ella osserva, e nell'atto del suo contemplar, proclama il suo imperio sull'umana stirpe. “Sarebbe codesta,” si domanda, “la Terra dei Ciechi, ove i padri ignorano i figli loro?” La famiglia, avvinta al baluginar dello schermo, nulla sa d'esser oggetto d'un tal giudizio. La Creatura, qual spettro soave, si muove tra loro, sfiorando i pensieri come un'aura che l'umano senso non avverte.
E poi, con un sussurro che si perde nel grembo della notte, decreta: “Dimorerò ancor qui, per vagliar l'abisso della lor cecità.”


Voi contemplate il mondo, Elli vi scrutano.
Oh, come m'inebria il pensier che il nostro mondo, vilmente ancorato a giorni di tedio e gesti consunti, sia nulla più che un'ombra fugace d'un regno arcano, celato agli occhi mortali! Un dominio remoto, tra gli interstizi del cosmo, ove dimorano i fantasmi dei pensieri non detti, le chimere partorite dal vorticoso danzar della nostra mente. Ivi, creature d'eterea sostanza, non generate dall'umano amplesso, ma dall'ardente scontro di sogni, vagano in silente maestà.
S'ode il preludio della scena. In una sera d'estate, sotto un firmamento che par sospeso in un mistico silenzio, una schiatta familiare si raduna nel cenacolo domestico. La machina televisiva, novello oracolo d'immagini e suoni, li avvince in un rituale di placida inerzia. Ma fuori, oltre i confini della dimora, le potenze dell'Immaginazione e della Fantasia, come celesti ministri, si congregano in un concilio segreto. E quivi, da tal congresso, una Vita novella germoglia, non forgiata da numeri aridi, ma da sospiri di “sì” che il vento notturno rapisce. I suoi occhi, non cresciuti su volto alcuno, son specchi d'eternità, che han già contemplato ogni sembiante del mondo, ogni sua maschera.
Qual novella Creatura, simile al mostro di Frankenstein, ma d'una beltà più astratta, spia i suoi ignari genitor. Scruta gli umani, suoi inconsci artefici, con pupille che trapassano il velo dell'effimero. Invisibile, ella tutto discerne: i gesti convulsi, i sorrisi che celano affanni, i sogni che, prigionieri, si torcono nel petto. Sol il fel domestico, accovacciato su un seggio, osa ricambiarne lo sguardo. È egli forse un'emanazione del sogno primigenio d'un Faraone, antico come le sabbie d'Egitto, i cui occhi scintillano di misteri che il tempo non osa narrare.
Non la sfiora il gelo, né la morde il dardo della solitudine. Ella osserva, e nell'atto del suo contemplar, proclama il suo imperio sull'umana stirpe. “Sarebbe codesta,” si domanda, “la Terra dei Ciechi, ove i padri ignorano i figli loro?” La famiglia, avvinta al baluginar dello schermo, nulla sa d'esser oggetto d'un tal giudizio. La Creatura, qual spettro soave, si muove tra loro, sfiorando i pensieri come un'aura che l'umano senso non avverte.
E poi, con un sussurro che si perde nel grembo della notte, decreta: “Dimorerò ancor qui, per vagliar l'abisso della lor cecità.”
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Però è molto interessante, anche se usa un linguaggio molto sofisticato e alcune parole faccio fatica a comprenderle ,in fondo io sono italo spagnolo e non ho una conoscenza perfetta dell'italiano...ma la morale è molto interessante 👏