Vaccata
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Vecchioalpinolivello 8
14 Dicembre - 2.786 visualizzazioni
Dal web

Brian May.

Nel 1970, uno studente di fisica di 23 anni dell'Imperial College di Londra si trovò davanti a una scelta che avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

Brian May studiava da tre anni la polvere zodiacale — quella debole luminescenza causata dalla luce solare riflessa da minuscole particelle sospese nel Sistema Solare. Aveva costruito da solo la sua attrezzatura, raccolto dati, analizzato misurazioni, e stava davvero avanzando verso un dottorato in astrofisica.

Ma fuori dal laboratorio, un'altra vita bussava con forza: quella del palco, degli amplificatori e delle folle urlanti. May era anche il chitarrista di un gruppo rock emergente: i Queen. Avevano appena firmato un contratto discografico. Si preparavano i primi tour. L'occasione era concreta, travolgente. E non avrebbe aspettato che lui terminasse la tesi.

Così Brian scelse la chitarra. Mise da parte il telescopio, lasciò gli studi… per inseguire un sogno che di lì a poco avrebbe incendiato il mondo.

Queen divenne leggenda. Bohemian Rhapsody, We Will Rock You, We Are the Champions — le sue note attraversarono generazioni. La sua Red Special — la chitarra fatta a mano da lui e suo padre — divenne uno strumento mitico. Brian May era ormai un'icona.
Ma in un angolo della sua mente, la polvere cosmica continuava a brillare.

Nel 2006, trentasei anni dopo aver abbandonato l'università, Brian contattò il suo vecchio relatore di tesi, il professor Michael Rowan-Robinson, che si ricordava benissimo di quel giovane promettente diventato rockstar. Si chiese se fosse ancora possibile completare il lavoro cominciato decenni prima.

Era un'impresa titanica. L'astrofisica era cambiata radicalmente. Gli strumenti di allora erano obsoleti. I dati raccolti da May erano parziali. Doveva aggiornare tutto, comprendere anni di nuove scoperte, integrare la ricerca moderna. Ma la domanda di fondo era ancora valida. E il professor Rowan-Robinson accettò di accompagnarlo fino alla fine.

Con la stessa disciplina con cui affrontava la musica, Brian si tuffò nello studio. Tra un concerto e un progetto musicale, trovò il tempo di riesaminare le sue vecchie osservazioni, affiancarle a quelle più recenti, rielaborarle con metodi moderni.

La sua tesi prese forma. Si intitolava A Survey of Radial Velocities in the Zodiacal Dust Cloud (un'indagine sulle velocità radiali nel cloud di polvere zodiacale) — una ricerca utile per comprendere meglio la formazione dei sistemi planetari e il comportamento della materia interplanetaria.

Nel 2007, l'Imperial College gli conferì il titolo di dottore in astrofisica.

Non si trattava di una laurea honoris causa, ma di un vero dottorato: frutto di anni di lavoro, valutazioni accademiche rigorose, e della stessa passione che aveva reso May un gigante della musica.

A 60 anni, Brian May non era più solo il leggendario chitarrista dei Queen. Era anche il dottor May, astrofisico.

Ma non si fermò lì. Divenne divulgatore scientifico, rettore universitario, cofondatore dell'Asteroid Day (una giornata mondiale per sensibilizzare sui rischi legati agli asteroidi). Collaborò con la NASA. Scrisse libri, tenne conferenze. Continuò a suonare, senza mai scegliere tra arte e scienza.

Perché lui è sempre stato entrambe le cose. Un uomo che non ha mai accettato di stare in una sola scatola.

La sua storia ci ricorda che non è mai troppo tardi per finire ciò che abbiamo iniziato. Che si può vivere due passioni, anche se sembrano opposte. Che i sogni messi in pausa possono aspettare anche trent'anni, se sono veri.

E che alcune cose… valgono il tempo che serve per realizzarle.
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