Chiacchiera
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Ombromantolivello 9
9 Maggio - 3.308 visualizzazioni
Nel 1933, in un piccolo laboratorio del Piemonte, un uomo osservava l'acqua che bolliva…
E da quella scena semplice, domestica, avrebbe inventato il gesto più italiano del mondo: fare il caffè con la moka.

Il suo nome era Alfonso Bialetti, un artigiano con uno sguardo attento e pratico.
Era un periodo difficile: l'Italia viveva le tensioni del dopoguerra, e il caffè espresso — che stava conquistando i bar delle città — era ancora un lusso da locali, lontano dalla vita delle famiglie comuni.

Bialetti sognava qualcosa di diverso:
una macchina da caffè che fosse piccola, economica, resistente… e soprattutto casalinga.

Fu osservando la lisciveuse, un rudimentale strumento per fare il bucato, che ebbe l'idea:
e se si potesse usare la pressione del vapore non per lavare, ma per estrarre caffè?

Disegnò un contenitore in alluminio a forma ottagonale, diviso in tre parti:

sotto, l'acqua,

in mezzo, il caffè macinato,

sopra, il raccoglitore.

E così nacque la Moka Express.
Un piccolo miracolo d'ingegno italiano.

Ma il successo arrivò qualche anno dopo, grazie al figlio Renato Bialetti, che prese quell'invenzione e la trasformò in un simbolo nazionale.
Con campagne pubblicitarie brillanti e il celebre "omino coi baffi", la moka entrò nelle case, nelle abitudini, nei cuori.

Non aveva la potenza del bar, ma aveva qualcosa di più:
il tempo lento della colazione,
il profumo che riempie la cucina,
il suono inconfondibile del borbottio finale.

Era il caffè della nonna, del papà, della domenica mattina.

Oggi la moka è esposta nei musei di design, ma continua a vivere sulle fiamme di milioni di fornelli.
Non ha bisogno di tecnologia, di capsule o di schermi digitali.
Solo di acqua, caffè, fuoco… e un po' d'amore.

Perché in fondo, la moka non è solo un modo di fare il caffè.
È un modo di stare insieme.
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Vaccata