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16 Settembre 2021 - 3.048 visualizzazioni
ROMANZO
di P. D'Achille - Enciclopedia dell' Arte Medievale (1999)


Termine, nato nel Medioevo, con cui si indica, sia nel linguaggio della critica e della storiografia letteraria sia nell'uso comune, il più importante genere narrativo, che ha anch'esso origini medievali (Meneghetti, 1988).

Derivato dall'avverbio lat. romanice (nell'espressione romanice loqui, opposta a latine loqui), l'aggettivo e sostantivo francese romanz (da cui roman) subì già in epoca medievale una significativa evoluzione semantica (Roncaglia, 1981) e dall'originario valore di 'lingua volgare' (sec. 11°😉, tuttora in uso con valore aggettivale in locuzioni come 'lingue romanze', passò a significare 'testo orale o scritto in volgare' (sec. 12°😉, 'opera narrativa in versi volgari, destinata non al canto ma alla lettura' (seconda metà del sec. 12°😉, 'opera narrativa in prosa' (sec. 13°😉. Il significato attuale deriva da quest'ultima accezione, accolta anche in italiano almeno dall'inizio del sec. 14° (Cortelazzo, Zolli, 1985), con le dantesche "prose di romanzi" (Purg. XXVI, v. 118), riferite ai volgarizzamenti dei r. francesi in versi e in prosa, del resto già diffusi da tempo in Italia nella loro lingua originale.Nel campo degli studi
letterari neolatini, è stato adeguatamente studiato (Roncaglia, 1963) il problema della definizione del genere r., soprattutto in rapporto a quello della chanson de geste, rispetto alla quale il termine, dall'originario valore di iperonimo (r. è definita, in alcuni manoscritti, la stessa Chanson de Roland; v. Orlando), finì ben presto con l'assumere valenza antonimica. La definizione di r. infatti - finché anche questo genere mantenne l'andamento versificato - fa riferimento alla differente struttura metrica, che non contempla lasse di decasillabi monoassonanzati, ma strofe di ottosillabi rimati a coppie, e alla diversa modalità di fruizione (che il passaggio alla prosa avrebbe ulteriormente accentuato), che non richiede l'accompagnamento musicale (previsto, con modalità diverse, per la lirica e per l'epica medievale), ma la semplice lettura, seppure spesso ad alta voce e 'di gruppo', secondo la prassi medievale. Un caso particolare è tuttavia rappresentato dal primo Roman d'Alexandre (v. Alessandro Magno), vicino alla chanson de geste quanto alla metrica, ma pur definito, fin nel titolo, come romanzo. Il r. nasce, comunque, nella letteratura in lingua d'oïl, nell'ambiente cortese dei Plantageneti (v.), dove trova in Chrétien de Troyes il suo massimo esponente. Quanto ai contenuti, il r. - a cui restano sostanzialmente estranee le tematiche del ciclo carolingio, privilegiato dalla chanson de geste - tratta soprattutto di personaggi ed eventi rientranti nel c.d. ciclo bretone, legato alla mitica figura di Artù (v.), come la ricerca del Graal (Perceval) e le avventure dei cavalieri della Tavola rotonda (Lancelot), spesso di argomento amoroso (Tristan). La lettura dei r. da parte del pubblico femminile è del resto rilevante per la stessa costituzione del genere. Non mancano peraltro temi relativi alla materia classica, rivisitata secondo il gusto dell'epoca, come nel citato Roman d'Alexandre e ancora nel Roman de Troie (v. Troia), nel Roman de Thèbes e nel Roman d'Enéas, "progetto letterario triadico di argomento classico [...] patrocinato dai Plantageneti in chiave di autolegittimazione" (Bertolucci Pizzorusso, 1992, p. 15), né va dimenticato che l'etichetta di r. venne attribuita anche a soggetti di origine orientale, come quello di Barlaam e Iosafat (v.). Con il passare del tempo, del resto, il termine r. fu esteso pure a opere di contenuto allegorico-didascalico (Roman de la Rose) o favolistico (Roman de Renard).Dal punto di vista artistico, la nascita del r. è importante soprattutto nel campo della miniatura (v.): proprio per illustrare manoscritti contenenti r. i miniatori si trovarono ad affrontare tematiche di carattere narrativo e di soggetto profano, legate alla civiltà cortese della cavalleria (v.). I primi manoscritti miniati sono peraltro cronologicamente alquanto posteriori ai testi originali e risalgono per lo più a partire dalla seconda metà del 13° secolo. Particolarmente significativo è un gruppo di manoscritti francesi di origine italiana, riconducibili a un unico atelier che gli studiosi hanno localizzato dapprima in area lombarda (Toesca, 1912), quindi a Napoli (Perriccioli Saggese, 1979), dove la presenza si inquadrerebbe agevolmente nell'ambiente culturale della monarchia angioina, infine a Genova (Avril, Gousset, Rabel, 1984); tra questi recentemente oggetto di specifici studi è un manoscritto del r. del Graal conservato a Udine (Bibl. Arcivescovile e Bartoliniana, 177; La grant Queste del Saint Graal, 1990).Forse più circoscritti, ma ugualmente densi di implicazioni, sono i riferimenti a personaggi e fatti dei r. nelle altre arti figurative, diffusi prevalentemente (ma non esclusivamente, e comunque non negli esempi più antichi), in ambienti laici. Per limitare il campo all'Italia, dove peraltro la popolarità degli eroi del ciclo bretone potrebbe essere legata anche a canali di diffusione orale, è famosa la precoce presenza di soggetti arturiani nei rilievi degli archivolti della porta dei Leoni nel S. Nicola di Bari e della porta della Pescheria nel duomo di Modena (Loomis, 1923-1924), entrambi della prima metà del sec. 12°, e dunque cronologicamente anteriori agli stessi r. di Chrétien de Troyes, nonché della figura di Artù nel mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, del 1165 ca. (Settis Frugoni, 1968). Molti altri sono gli episodi degni di nota, come gli affreschi di Castel Rodengo, in Alto Adige, dell'inizio del Duecento, che illustrano scene dell'Yvain di Chrétien de Troyes nella versione tedesca di Hartmann von Aue (L'età cavalleresca in Val d'Adige, 1980), e vari altri esempi in area veneta (Cozzi, 1979). Proprio alla fine del Medioevo si situa il ciclo di affreschi di Pisanello nel palazzo Ducale di Mantova - recuperato all'inizio degli anni Settanta - corredato da didascalie in francese tratte da una redazione in prosa del Lancelot (Bertolucci Pizzorusso, 1972), che sembra assumere un valore emblematico di nostalgica rievocazione di una stagione del r. ormai tramontata, al pari della civiltà cavalleresca che lo aveva prodotto.
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