Satira
20 Ottobre 2020 - 3.698 visualizzazioni
il prototipo di padre pio
Gemma Galgani nacque il 12 marzo 1878 a Borgonuovo di Camigliano, in provincia di Lucca, quintogenita di otto tra fratelli e sorelle.
La madre Aurelia era baciapile al punto da temere che la figlia non potesse andare in paradiso a causa di quel nome laico imposto dallo zio e si rassegnò solo in seguito alla rassicurazione di un prete. Per cautelarsi, comunque, a due anni la inviò presso le sorelle Viallini, dopo che il marito, farmacista, aveva trasferito armi, alambicchi e prole a Lucca. Scrive Renato Pierri nel suo «La sposa di Gesù crocifisso»:
«Le religiosissime sorelle […] posero le basi di quel muro di pregiudizi, fanatismi, credulità, paura e ignoranza, che imprigionò poi la futura santa
per tutta la sua breve vita».
La piccola Gemma frequentò il semi convitto delle due bizzoche fino ai sette anni: ma come può una bambina sviluppare una psiche equilibrata se nel quinquennio più delicato della sua formazione deve solo pregare, imparare a ricamare e «leggere il breviario per l'ufficio della Madonna e dei morti», a maggior ragione se poi, a casa, trova il supplemento in una madre fanatica, che la costringe ad assistere a due o tre messe consecutive, le impone di recitare trentasei Avemarie quotidiane, le inculca il senso del peccato, il senso di colpa, l'esigenza della mortificazione corporale e della penitenza?
Gemma – per compiacerla – iniziò a sottoporsi a una serie di torture fisiche e poco per volta vi trovò «un segreto piacere»:
«Come rimediare altrimenti alle gravi offese che – le veniva detto e ripetuto – anche lei arrecava al Signore? Non erano stati forse i peccati come i suoi a provocare quelle gocce di sangue sul volto di Gesù? E non erano state persone cattive come lei a lacerare a Cristo le mani e il costato?».
Ho fedelmente riportato quanto scritto da Pierri, ma sono discorsi che conosco bene per averli ascoltati centinaia di volte nella mia infanzia: a me, però, sembravano assurdi, in netta contraddizione con quel “Dio d'amore” che mi veniva enfaticamente presentato, quindi tacevo (perché quando avevo provato a replicare ero stata aspramente redarguita), chinavo la testa e ci rimuginavo su, avvertendo un gran senso di ribellione.
Naturalmente anche per Gemma, all'apologia del dolore veniva associata l'ossessione della purezza, il corpo era indicato come fonte di peccato, non lo si doveva toccare se non lo stretto necessario per lavarsi, senza indugiare sulle parti intime: diversamente, si sarebbero spalancate le porte dell'inferno. Nello stesso modo, gli specchi erano tabù, perché se si fosse attardata a rimirare la propria immagine, le sarebbe apparso il diavolo, proprio come avrebbero detto a me più di settant'anni dopo: ma io volli fare l'esperimento, che mi lasciò molto delusa.
Chi ha vissuto in un simile ambiente – lugubre, malato, ossessivo – prova per Gemma Galgani un'autentica compassione e può comprendere pienamente come la sua psiche, probabilmente già fragile, non resse a un tale bombardamento.
Ma ogni tanto il “Cielo” prova a mettere una pezza alla follia umana: la signora Aurelia, infatti, nel 1885 contrasse la tubercolosi che il 17 settembre 1886 l'avrebbe portata alla tomba. Durante la degenza, però, non mancò di far respirare alla figlioletta il consueto clima «permeato di una religiosità morbosa e dolente, resa mortifera dalla grave malattia». Costretta ad allontanarsi dal capezzale materno per ricevere la cresima, Gemma ebbe la prima “locuzione interiore”, come si legge nell'epistolario pubblicato nel 1909 dal passionista Germano Ruoppolo e nella sua autobiografia:
«Ascoltai alla meglio la messa pregando per lei [la madre]; tutto a un tratto una voce al cuore mi disse: “Me la vuoi dare a me la mamma?”. “Sì”, risposi, “ma se mi prendete anche me”. “No”, mi ripeté la solita voce, “dammela volentieri la mamma tua. Tu ora devi rimanere col babbo. Te la condurrò in cielo, lo sai?”. Fui costretta a rispondere di sì».
Mi unisco a Renato Pierri, che commenta:
«Superfluo precisare che “la voce” era quella di Gesù, il crudele Gesù che
cominciava ad albergare nel cervello disturbato di Gemma».
Quando Aurelia finalmente si decise a morire, la bambina, che aveva otto anni, si sentì travolgere dai sensi di colpa: un anno dopo entrò come allieva nel convento delle Oblate dello Spirito Santo – Istituto Santa Zita – per proseguire gli studi, fece la prima comunione e sviluppò sempre di più l'avversione per il proprio corpo, maturando «una isterica repulsione per le “tentazioni della carne”, manifestando una fanatica dedizione psicofisica al Signore. Un parossismo pseudo religioso che cominciò a ossessionarla giorno e notte».
La situazione si aggravò nel 1894 in seguito alla morte dell'amato fratello Gino: Gemma si ammalò, interruppe gli studi e moltiplicò le torture, trovandovi un piacere sempre più acuto: si riteneva una peccatrice meritevole dell'inferno, che avrebbe potuto scansare solo soffrendo le pene della Passione. «Lei era la sposa di Gesù crocifisso – commenta Pierri – la vergine votata al Cristo agonizzante», che a soli otto anni aveva fatto voto di castità.
E tale fu la vita di Gemma Galgani per un quarto di secolo, in un crescendo allucinante di follia mistica, il cui decorso ebbe una vertiginosa accelerazione quando una malattia invalidante colpì il padre e ridusse la famiglia sul lastrico. L'uomo morì l'11 novembre 1897, ma la figlia rimase di ghiaccio: «Gesù mi proibì di perdermi in urli e pianti inutili, [quel giorno] lo passai pregando e rassegnata assai al volere di Dio, che in quell'istante prendeva Lui le veci di Padre celeste e Padre terreno».
La ragazza, malata nel corpo e nella mente, soggiornò per breve tempo dagli zii a Camaiore: qui ricevette alcune proposte di matrimonio che la fecero inorridire, dunque preferì rientrare in famiglia, dove minimizzò i problemi di salute che la affliggevano temendo sopra ogni altra cosa che un medico, visitandola, toccasse il suo corpo. Tutto si ridusse, insomma, a un'ossessione sessuale a sfondo masochista, ma di diverso avviso furono i tristi personaggi che da sempre gravitavano intorno a lei: Gemma, per il suo stoicismo nel sopportare i dolori, iniziò a essere considerata una prediletta dal Signore. Quando, nel 1899, improvvisamente guarì, l'evento
venne letto come un miracolo e nella Pasqua di quello stesso anno, Gesù le apparve, invitandola a inasprire la crudeltà delle torture, cosa che la ragazza puntualmente fece, manifestando, contemporaneamente, il desiderio di entrare in convento: le condizioni economiche della famiglia, tuttavia, non glielo consentirono.
L'8 giugno, però, accadde ciò che non può mancare nella vicenda di ogni psicopatico affetto da delirio religioso: le stimmate segnarono le mani, i piedi e il costato della giovane, sanguinando dalla sera del giovedì fino al pomeriggio del venerdì. Negli anni successivi, il “buon” Gesù le avrebbe inflitto altre torture, come lo strazio della flagellazione e della corona di spine. La neo stimmatizzata fu sottoposta a indagine dal suo speranzoso confessore, monsignor Volpi e da un medico di fiducia del prelato, tale dottor Pfanner, ma il responso lasciò pochi dubbi: Gemma Galgani fu dichiarata un'isterica che si feriva volontariamente. I parenti, udito il parere del clinico, si dimostrarono – come affermò padre Ruoppolo nella storia della santa – «sconcertati, mortificati, confusi». La vita in casa si fece problematica, ma Gemma trovò nella famiglia Giannini – ammanicata con i passionisti – un sicuro rifugio dove dare libero sfogo ai propri deliri. A questo punto entrò in scena Germano Ruoppolo, padre passionista di Roma, dapprima scettico, poi accanito fan della stimmatizzata di cui, nel 1900, divenne direttore spirituale. Ci si sarebbe aspettati un minimo di buon senso da parte del religioso, ma costui, invece di mitigare il delirio della giovane donna, ormai persa nei meandri di una follia sempre più
oscura, lo esasperò ulteriormente e Pierri annota:
«Nella persona di padre Germano, un crudelissimo Gesù sembrava aver trovato, per la sua sposa terrena, una specie di aguzzino capace di accentuarne ansie e tormenti».
Non da meno furono monsignor Volpi, evidentemente dimentico della diagnosi del dottor Pfanner e la devota famiglia Giannini, orgogliosa di avere una santa in casa, i quali invece di aiutare Gemma affidandola alle cure di uno specialista, la spinsero sempre di più in un baratro fatale. La signora Cecilia Giannini scriveva, per esempio, a padre Ruoppolo: «Quanto ha sofferto stanotte! Sentivo perfino ballare il suo lettino… la povera martire di Gesù è tutta piaghe». Concordo completamente con Pierri quando afferma:
«Nessuno sembrava avvedersi che definire Gemma “la povera martire di
Gesù” significava attribuire al Signore un ruolo di carnefice, cioè bestemmiare».
Ho ascoltato spesso simili orrori contrabbandati per fede e non nel 1900, ma a partire dalla seconda metà del XX secolo in avanti: fa parte di ciò che mi ha allontanata sempre di più dalla religione e dalla Chiesa.
La tragica avventura terrena di Gemma Galgani si concluse l'11 aprile 1903, sabato santo: forse una misericordia più autentica di quella sbandierata da individui perversi, privi di ogni umanità, decise di porre fine al suo atroce tormento. Gli ultimi anni della martire di una cultura che non esito a definire criminale, furono costellati da episodi sempre più raccapriccianti, in cui non mancarono – oltre alle piaghe e a sofferenze fisiche di ogni tipo, che la ridussero a una maschera sanguinante – il matrimonio mistico con
Gesù e gli scontri con il demonio.
Dopo la sua morte, Ruoppolo si premurò di preparare tutto il necessario per assicurare una santa alla diocesi di Lucca e all'ordine dei passionisti, scrivendone la biografia e pubblicando l'epistolario.
Nel 1917 si mise in moto l'iter per la beatificazione della giovane e vennero scovati due miracoli all'acqua di rose, che furono tuttavia giudicati sufficienti: il 14 maggio 1933 Pio XI la proclamò beata. Padre Ruoppolo non riuscì ad assistere al compimento dell'opera sua, poiché era deceduto nel 1909, avendo però fatto in tempo a pubblicare, dopo la biografia, «Lettere ed estasi della Serva di Dio Gemma Galgani».
Per la canonizzazione, la candidata dovette sforzarsi un po' di più: il giorno stesso della beatificazione guarì istantaneamente una donna di Cosenza affetta da lupus vulgaris e due anni più tardi uno zio di costei, tormentato da un'ulcera varicosa. Commenta Renato Pierri: «Nepotismo divino?».
Così il 2 maggio 1940 Pio XII sancì definitivamente l'ingresso di santa Gemma Galgani nel calendario liturgico, condannando stuoli di femminucce a sentirsi proporre la sua raccapricciante vicenda come prototipo di perfezione.
Gemma Galgani nacque il 12 marzo 1878 a Borgonuovo di Camigliano, in provincia di Lucca, quintogenita di otto tra fratelli e sorelle.
La madre Aurelia era baciapile al punto da temere che la figlia non potesse andare in paradiso a causa di quel nome laico imposto dallo zio e si rassegnò solo in seguito alla rassicurazione di un prete. Per cautelarsi, comunque, a due anni la inviò presso le sorelle Viallini, dopo che il marito, farmacista, aveva trasferito armi, alambicchi e prole a Lucca. Scrive Renato Pierri nel suo «La sposa di Gesù crocifisso»:
«Le religiosissime sorelle […] posero le basi di quel muro di pregiudizi, fanatismi, credulità, paura e ignoranza, che imprigionò poi la futura santa
per tutta la sua breve vita».
La piccola Gemma frequentò il semi convitto delle due bizzoche fino ai sette anni: ma come può una bambina sviluppare una psiche equilibrata se nel quinquennio più delicato della sua formazione deve solo pregare, imparare a ricamare e «leggere il breviario per l'ufficio della Madonna e dei morti», a maggior ragione se poi, a casa, trova il supplemento in una madre fanatica, che la costringe ad assistere a due o tre messe consecutive, le impone di recitare trentasei Avemarie quotidiane, le inculca il senso del peccato, il senso di colpa, l'esigenza della mortificazione corporale e della penitenza?
Gemma – per compiacerla – iniziò a sottoporsi a una serie di torture fisiche e poco per volta vi trovò «un segreto piacere»:
«Come rimediare altrimenti alle gravi offese che – le veniva detto e ripetuto – anche lei arrecava al Signore? Non erano stati forse i peccati come i suoi a provocare quelle gocce di sangue sul volto di Gesù? E non erano state persone cattive come lei a lacerare a Cristo le mani e il costato?».
Ho fedelmente riportato quanto scritto da Pierri, ma sono discorsi che conosco bene per averli ascoltati centinaia di volte nella mia infanzia: a me, però, sembravano assurdi, in netta contraddizione con quel “Dio d'amore” che mi veniva enfaticamente presentato, quindi tacevo (perché quando avevo provato a replicare ero stata aspramente redarguita), chinavo la testa e ci rimuginavo su, avvertendo un gran senso di ribellione.
Naturalmente anche per Gemma, all'apologia del dolore veniva associata l'ossessione della purezza, il corpo era indicato come fonte di peccato, non lo si doveva toccare se non lo stretto necessario per lavarsi, senza indugiare sulle parti intime: diversamente, si sarebbero spalancate le porte dell'inferno. Nello stesso modo, gli specchi erano tabù, perché se si fosse attardata a rimirare la propria immagine, le sarebbe apparso il diavolo, proprio come avrebbero detto a me più di settant'anni dopo: ma io volli fare l'esperimento, che mi lasciò molto delusa.
Chi ha vissuto in un simile ambiente – lugubre, malato, ossessivo – prova per Gemma Galgani un'autentica compassione e può comprendere pienamente come la sua psiche, probabilmente già fragile, non resse a un tale bombardamento.
Ma ogni tanto il “Cielo” prova a mettere una pezza alla follia umana: la signora Aurelia, infatti, nel 1885 contrasse la tubercolosi che il 17 settembre 1886 l'avrebbe portata alla tomba. Durante la degenza, però, non mancò di far respirare alla figlioletta il consueto clima «permeato di una religiosità morbosa e dolente, resa mortifera dalla grave malattia». Costretta ad allontanarsi dal capezzale materno per ricevere la cresima, Gemma ebbe la prima “locuzione interiore”, come si legge nell'epistolario pubblicato nel 1909 dal passionista Germano Ruoppolo e nella sua autobiografia:
«Ascoltai alla meglio la messa pregando per lei [la madre]; tutto a un tratto una voce al cuore mi disse: “Me la vuoi dare a me la mamma?”. “Sì”, risposi, “ma se mi prendete anche me”. “No”, mi ripeté la solita voce, “dammela volentieri la mamma tua. Tu ora devi rimanere col babbo. Te la condurrò in cielo, lo sai?”. Fui costretta a rispondere di sì».
Mi unisco a Renato Pierri, che commenta:
«Superfluo precisare che “la voce” era quella di Gesù, il crudele Gesù che
cominciava ad albergare nel cervello disturbato di Gemma».
Quando Aurelia finalmente si decise a morire, la bambina, che aveva otto anni, si sentì travolgere dai sensi di colpa: un anno dopo entrò come allieva nel convento delle Oblate dello Spirito Santo – Istituto Santa Zita – per proseguire gli studi, fece la prima comunione e sviluppò sempre di più l'avversione per il proprio corpo, maturando «una isterica repulsione per le “tentazioni della carne”, manifestando una fanatica dedizione psicofisica al Signore. Un parossismo pseudo religioso che cominciò a ossessionarla giorno e notte».
La situazione si aggravò nel 1894 in seguito alla morte dell'amato fratello Gino: Gemma si ammalò, interruppe gli studi e moltiplicò le torture, trovandovi un piacere sempre più acuto: si riteneva una peccatrice meritevole dell'inferno, che avrebbe potuto scansare solo soffrendo le pene della Passione. «Lei era la sposa di Gesù crocifisso – commenta Pierri – la vergine votata al Cristo agonizzante», che a soli otto anni aveva fatto voto di castità.
E tale fu la vita di Gemma Galgani per un quarto di secolo, in un crescendo allucinante di follia mistica, il cui decorso ebbe una vertiginosa accelerazione quando una malattia invalidante colpì il padre e ridusse la famiglia sul lastrico. L'uomo morì l'11 novembre 1897, ma la figlia rimase di ghiaccio: «Gesù mi proibì di perdermi in urli e pianti inutili, [quel giorno] lo passai pregando e rassegnata assai al volere di Dio, che in quell'istante prendeva Lui le veci di Padre celeste e Padre terreno».
La ragazza, malata nel corpo e nella mente, soggiornò per breve tempo dagli zii a Camaiore: qui ricevette alcune proposte di matrimonio che la fecero inorridire, dunque preferì rientrare in famiglia, dove minimizzò i problemi di salute che la affliggevano temendo sopra ogni altra cosa che un medico, visitandola, toccasse il suo corpo. Tutto si ridusse, insomma, a un'ossessione sessuale a sfondo masochista, ma di diverso avviso furono i tristi personaggi che da sempre gravitavano intorno a lei: Gemma, per il suo stoicismo nel sopportare i dolori, iniziò a essere considerata una prediletta dal Signore. Quando, nel 1899, improvvisamente guarì, l'evento
venne letto come un miracolo e nella Pasqua di quello stesso anno, Gesù le apparve, invitandola a inasprire la crudeltà delle torture, cosa che la ragazza puntualmente fece, manifestando, contemporaneamente, il desiderio di entrare in convento: le condizioni economiche della famiglia, tuttavia, non glielo consentirono.
L'8 giugno, però, accadde ciò che non può mancare nella vicenda di ogni psicopatico affetto da delirio religioso: le stimmate segnarono le mani, i piedi e il costato della giovane, sanguinando dalla sera del giovedì fino al pomeriggio del venerdì. Negli anni successivi, il “buon” Gesù le avrebbe inflitto altre torture, come lo strazio della flagellazione e della corona di spine. La neo stimmatizzata fu sottoposta a indagine dal suo speranzoso confessore, monsignor Volpi e da un medico di fiducia del prelato, tale dottor Pfanner, ma il responso lasciò pochi dubbi: Gemma Galgani fu dichiarata un'isterica che si feriva volontariamente. I parenti, udito il parere del clinico, si dimostrarono – come affermò padre Ruoppolo nella storia della santa – «sconcertati, mortificati, confusi». La vita in casa si fece problematica, ma Gemma trovò nella famiglia Giannini – ammanicata con i passionisti – un sicuro rifugio dove dare libero sfogo ai propri deliri. A questo punto entrò in scena Germano Ruoppolo, padre passionista di Roma, dapprima scettico, poi accanito fan della stimmatizzata di cui, nel 1900, divenne direttore spirituale. Ci si sarebbe aspettati un minimo di buon senso da parte del religioso, ma costui, invece di mitigare il delirio della giovane donna, ormai persa nei meandri di una follia sempre più
oscura, lo esasperò ulteriormente e Pierri annota:
«Nella persona di padre Germano, un crudelissimo Gesù sembrava aver trovato, per la sua sposa terrena, una specie di aguzzino capace di accentuarne ansie e tormenti».
Non da meno furono monsignor Volpi, evidentemente dimentico della diagnosi del dottor Pfanner e la devota famiglia Giannini, orgogliosa di avere una santa in casa, i quali invece di aiutare Gemma affidandola alle cure di uno specialista, la spinsero sempre di più in un baratro fatale. La signora Cecilia Giannini scriveva, per esempio, a padre Ruoppolo: «Quanto ha sofferto stanotte! Sentivo perfino ballare il suo lettino… la povera martire di Gesù è tutta piaghe». Concordo completamente con Pierri quando afferma:
«Nessuno sembrava avvedersi che definire Gemma “la povera martire di
Gesù” significava attribuire al Signore un ruolo di carnefice, cioè bestemmiare».
Ho ascoltato spesso simili orrori contrabbandati per fede e non nel 1900, ma a partire dalla seconda metà del XX secolo in avanti: fa parte di ciò che mi ha allontanata sempre di più dalla religione e dalla Chiesa.
La tragica avventura terrena di Gemma Galgani si concluse l'11 aprile 1903, sabato santo: forse una misericordia più autentica di quella sbandierata da individui perversi, privi di ogni umanità, decise di porre fine al suo atroce tormento. Gli ultimi anni della martire di una cultura che non esito a definire criminale, furono costellati da episodi sempre più raccapriccianti, in cui non mancarono – oltre alle piaghe e a sofferenze fisiche di ogni tipo, che la ridussero a una maschera sanguinante – il matrimonio mistico con
Gesù e gli scontri con il demonio.
Dopo la sua morte, Ruoppolo si premurò di preparare tutto il necessario per assicurare una santa alla diocesi di Lucca e all'ordine dei passionisti, scrivendone la biografia e pubblicando l'epistolario.
Nel 1917 si mise in moto l'iter per la beatificazione della giovane e vennero scovati due miracoli all'acqua di rose, che furono tuttavia giudicati sufficienti: il 14 maggio 1933 Pio XI la proclamò beata. Padre Ruoppolo non riuscì ad assistere al compimento dell'opera sua, poiché era deceduto nel 1909, avendo però fatto in tempo a pubblicare, dopo la biografia, «Lettere ed estasi della Serva di Dio Gemma Galgani».
Per la canonizzazione, la candidata dovette sforzarsi un po' di più: il giorno stesso della beatificazione guarì istantaneamente una donna di Cosenza affetta da lupus vulgaris e due anni più tardi uno zio di costei, tormentato da un'ulcera varicosa. Commenta Renato Pierri: «Nepotismo divino?».
Così il 2 maggio 1940 Pio XII sancì definitivamente l'ingresso di santa Gemma Galgani nel calendario liturgico, condannando stuoli di femminucce a sentirsi proporre la sua raccapricciante vicenda come prototipo di perfezione.
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porcocane:
2

20 Ottobre 2020 alle ore 13:18 · Ti stimo · Rispondi

porcocane:
2

20 Ottobre 2020 alle ore 13:19 · Ti stimo · Rispondi

porcocane: scendono in campo i deficenters
3
Conte chiama Fedez risponde
20 Ottobre 2020 alle ore 13:20 · Ti stimo · Rispondi

porcocane:
4

20 Ottobre 2020 alle ore 13:20 · Ti stimo · Rispondi

porcocane:
3

20 Ottobre 2020 alle ore 13:21 · Ti stimo · Rispondi

Rayman: porcocane ma che vada a cagare 🖕
5
20 Ottobre 2020 alle ore 13:32 · Ti stimo · Rispondi

Mephisto: porcocane i deficienters non sono loro, ma chi li segue.
3
20 Ottobre 2020 alle ore 13:54 · Ti stimo · Rispondi

Mephisto: E ricordatevi di fare sesso con la mascherina. Lo dice il CTS. E dice anche che pur non avendo senso, è un segnale per la società...
2
20 Ottobre 2020 alle ore 13:57 · Ti stimo · Rispondi

porcocane: Mephisto per i sesso non serve la mascherina serve una che ce la da 😄😄😄
2
20 Ottobre 2020 alle ore 14:06 · Ti stimo · Rispondi

Mephisto: porcocane Mai 'na gioia
2
20 Ottobre 2020 alle ore 14:15 · Ti stimo · Rispondi

porcocane: Mephisto a me la danno ma non trombo colla mascherina ahahah
2
20 Ottobre 2020 alle ore 14:20 · Ti stimo · Rispondi

Mephisto: porcocane Ma è una follia, sembra che si stiano spingendo verso regole ridicole per vedere fino a che punto la gente abbocca.
2
20 Ottobre 2020 alle ore 14:25 · Ti stimo · Rispondi

Mephisto: porcocane Come il coprifuoco dalle 23 alle 5 del mattino.... Ma che cazzo di senso ha? La gente mica gira tutta la notte
2
20 Ottobre 2020 alle ore 14:26 · Ti stimo · Rispondi

porcocane: Mephisto
2
"Pensavo fosse uno scherzo! Ora i giornali scrivono di fare sesso solo con la mascherina!" Duranti
20 Ottobre 2020 alle ore 14:41 · Ti stimo · Rispondi

Mephisto: porcocane Appunto
2
20 Ottobre 2020 alle ore 14:42 · Ti stimo · Rispondi